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Questo articolo è stato aggiornato il Gennaio 3, 2014
Quando si visita una città una delle cose che più amo fare è immergermi nella cultura locale e ancora di più mi piace provare quelli che sono i piatti tipici, penso sia un ottimo modo per conoscere meglio un luogo. Per questo vi consiglierò alcune delle prelibatezze da assaggiare assolutamente durante una visita a Venezia.
Due dei piatti più famosi e diffusi, che potete trovare anche sui banchi di qualche gastronomia o nelle osterie da mangiare come cicheto insieme a una buona ombra di vino, sono di sicuro le sarde in saor e il baccalà mantecato. L’origine di entrambe queste ghiottonerie è da cercare nella storia della Venezia commerciale e marinara; la ricetta delle sarde nasce per soddisfare la necessità dei marinai di nutrirsi a bordo delle barche conservando il pescato: vengono infatti insaporite (da qui saor) con aceto e cipolle, a cui nel corso del tempo si sono aggiunti anche pinoli ed uvetta, indice del ruolo della città di “porta verso l’Oriente”.
La vicenda riguardante il baccalà ha origine dal naufragio di un mercante veneziano nei pressi delle Isole Lofoten, dove conobbe l’esistenza dello stock-fish (stoccafisso), che poi portò con se tornato in laguna. La “crema” viene preparata appunto mantecando in modo magistrale lo stoccafisso battuto, ammollato in acqua, mondato e sminuzzato con olio d’oliva a filo, sale, pepe ed olio. Diffidare da chi lo prepara con burro e panna!!
Parlando di piatti più “consistenti” è doveroso citare il primo per eccellenza: i bigoi in salsa, una pasta fresca che tradizionalmente veniva fatta in casa con il torchio e condita “di magro” con cipolle e sardelle per occasioni come la Vigilia di Natale o il Mercoledì delle ceneri. Ora si può assaggiare questa prelibatezza praticamente in ogni ristorante presente in laguna.
Il fegato alla veneziana (o figà àea Venessiana) è un altro piatto che non manca mai sulle tavole delle osterie veneziane. La sua origine è probabilmente romana e il nome deriva proprio dalla ricetta originale che lo voleva cucinato con i fichi(figà), che gli abitanti della Serenissima sostituirono con le immancabili cipolle. Un secondo di carne particolare e dalle origini secentesche è la castradina veneziana, nel quale la carne di montone viene cucinata con verza, cipolle e vino. La sua origine è legata al periodo di isolamento della città durante la pestilenza, quando i Dalmati la rifornivano proprio con questo tipo di carne: ora è infatti un piatto caratteristico dei giorni di novembre in cui si festeggia Santa Maria della Salute.
Altre tre “chicche” tutte veneziane sono i bovoeti, le moeche e la polenta con le schie. I primi sono delle lumachine chiare che si trovano nella stagione calda, la ricetta li prevede cotti e semplicemente conditi con olio, aglio, sale, pepe e prezzemolo. Questo piatto è tradizionalmente preparato e venduto in particolare in occasione della Festa del Redentore a fine luglio. Le moeche fritte, anche chiamate “pepite del mare” invece si trovano in primavera e autunno, i momenti in cui questi granchietti di laguna cambiano il carapace, rimanendone privi per un brevissimo periodo. Da qui deriva anche il nome moeca. Anche le schie sono “frutti” della laguna: piccoli gamberetti grigi, solitamente fritti interi o serviti “pelati” e conditi con polenta.
I dolci più facilmente trovabili in osterie, panifici e pasticcerie sono biscotti di vario tipo, che si possono gustare “pucciati” in un bicchierino di vino dolce. Le esse e i bussolai sono semplicissimi biscotti appunto a forma di “S” o tonda, originari di Burano. I zaeti (da zàlo: giallo) sono fatti di farina di mais, da qui il nome, e uvetta. I baìcoli, invece, sono perfetti nello zabajone, anche se in origine erano serviti col caffè: questi sono dolcetti un po’ diversi dai precedenti, infatti sono”pasta reale condita di zucchero, spugnosa e biscottata”. Per questa loro caratteristica, che garantiva una lunga conservazione, venivano inclusi tra le provviste delle navi mercantili e da guerra della Serenissima; il loro nome invece sembra derivare dalla somiglianza nella forma del biscotto ad un piccolo pesce cefalo, chiamati appunto baìcoli. Le fave dei morti invece sono dolcetti tipici appunto dei giorni a cavallo tra ottobre e novembre, da consumare per tradizione insieme a castagne, zucca, patate americane ed un bicchiere di Torbolino. La ricetta nella versione veneziana è a base di pinoli, diversamente da quella caratteristica di Trieste, dove sono le mandorle ad essere protagoniste.
Un dolce che invece non troverete tanto facilmente in un ristorante è la pinsa: un piatto povero e non particolarmente bello, ma davvero davvero goloso, una delle ricette più antiche della cucina veneziana e veneta. L’ingrediente base è il pane raffermo che viene unito a uvetta, cacao, canditi, frutta secca, semi di finocchio e chi-più-ne-ha-più-ne-metta, non c’è una ricetta ufficiale, a seconda delle zone e delle case ci sono versioni diverse. Un tempo era il pane dolce di Natale ed Epifania.
Nel periodo invernale, fino a primavera, è facile trovare in fornerie e pasticceria la fugassa venessiana: anche questo un dolce di origine povera, di pasta lievitata, burroso e ricoperto da granella di zucchero che di solito si mangia a Pasqua.
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I biscotti a forma di S si chiamano “essi” al maschile