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Questo articolo è stato aggiornato il Settembre 9, 2016
Era il 2010 quando, io e mia moglie seduti sul divano di casa, stavamo sbirciando le foto dei nostri viaggi. Dal viaggio di nozze a Yellowstone, ai parchi nel British Columbia al Serengeti, sempre in tenda e zaino in spalla. Poi ci guardiamo e “perché non lasciamo tutto, vendiamo quello che abbiamo e andiamo in Alaska?” Così, pochi mesi dopo, ci siamo licenziati abbiamo venduto le nostre auto, elettrodomestici e qualche mobile, lasciata la casa in affitto e via: destinazione Alaska.
Amanti della vita nella natura, abbiamo girato in lungo e in largo questo splendido Stato, per circa un mese. Orsi, alci, cervi, lupi, aquile, salmoni e quanti più animali si possa pensare di incontrare. I panorami e la natura selvaggia qua si è fatta sentire a tal punto che un orso grizzly (per fortuna non adulto), è pure venuto a giocare con la nostra tenda di notte, nel Denali NP., con risveglio brusco e tenda in pessime condizioni.
Dopo circa un mese e con l’autunno alle porte, decidiamo di spingerci più a sud, nello Stato di Washington a est di Seattle. Li abbiamo la fortuna, grazie a dei contatti presi lungo la strada, di entrare in un ranch e poter far qualcosa per loro in cambio di vitto e alloggio. Cavalli, mucche, fieno, legna, pulizia stalle ma anche guest ranch quindi cucina, gestione ospiti, pulizia camere…e quanto si può fare.
Un’esperienza unica, bella, semplice e ricca che ci ha fatto conoscere un’America ancora viva, che ricorda il passato, ma sopratutto un’esperienza umana. Dopo 4 mesi circa, e arrivato l’inverno, continuiamo la nostra strada verso sud. Grazie a qualche lavoretto fatto qua e la da persone incontrate per strada o nei campeggi, riusciamo ad arrivare fino al Grand Canyon. La tenda è sempre compagna, sia con la neve che nelle calde serate della California. E così riceviamo una chiamata dall’Alaska. Una famiglia che abbiamo conosciuto in estate, ci offre vitto alloggio e spese in cambio di alcuni favori…e così su di nuovo. L’inverno in Alaska, che spettacolo di colori. Il freddo c’è ma per noi trentini è un po’ come essere a casa. Un’esperienza unica e bellissima, ma senza tenda questa volta. Non finiremo mai di ringraziare questa famiglia per la grande opportunità che ci ha dato, e non finiremo mai di ringraziare il ranch che, nonostante una vita “dura“, ci ha insegnato moltissimo dandoci la possibilità di realizzare un sogno.
Così, il visto americano è in scadenza. Che fare? Dall’Alaska allo Zimbabwe, grazie ad una serie di fortunati eventi, veniamo a conoscenza di un medico missionario che ha bisogno di due ragazzi in un orfanotrofio della capitale. Sempre in cambio di vitto e alloggio, accettiamo la proposta e dal freddo paese del Nord Ovest, al caldo Paese dell’Africa meridionale. L’impatto di sicuro cambia, sopratutto perché questa volta non abbiamo con noi la tenda, ma abbiamo un progetto ben preciso. E dopo un mese in orfanotrofio riceviamo la proposta di recarci all’ospedale missionario “Luisa Guidotti” di Mutoko, gestito da due medici di Rimini. Accettiamo immediatamente, poter lavorare in un ospedale, mia moglie come contabile e io come logista, è sicuramente una sfida avvincente.
Nel frattempo continuano le collaborazioni con l’orfanotrofio e con tantissimi altri centri sparsi per il nord est del Paese, legati al dott. Spagnolli. Otteniamo quindi subito il permesso di lavoro da parte del ministero dello Zimbabwe, e così possiamo sfruttare le nostre professioni per questa causa. Mia moglie, svolge un lavoro di ufficio meticoloso, mettendo quanto più possibile i conti a posto, così da rendere più semplice e trasparenti i rapporti tra le onlus italiane e gli enti locali. Io invece, guidando un’ambulanza che si trasformava in mezzo di trasporto in base alle necessità, rifornivo i centri di medicinali e aiuti provenienti dall’Italia e mi occupavo di manutenzioni e nuove costruzioni assieme alla squadra di lavoratori locali. Persone preparate, altamente qualificate e capaci di lavorare. Grazie a progetti sia locali che dall’Italia siamo riusciti a fare moltissime cose per quest’ospedale come la clinica dentistica e oculistica, nuova ambulatori e ristrutturare alcune aree bisognose, come la cucina e alcuni reparti. Una soddisfazione immensa, sopratutto perché fatta, pensata e realizzata insieme a loro.
Nel frattempo, a circa metà del nostro percorso, decidiamo quindi che questo è il posto dove vorremmo stabilire la nostra famiglia. Nonostante 200 km dalla prima città, e servizi un po’ precari, qui ci sentiamo a “casa“. Così decidiamo di portare avanti la nostra famiglia e mia moglie è incinta. Lei continua a lavorare in ospedale, e ogni lunedì del mese dedicato alle donne in gravidanza, si mette in fila con le future mamme per i controlli di routine. La bravura delle infermiere e dei medici locali, hanno fatto si che passasse una gravidanza splendida. Ma all’ottavo mese della sua gravidanza, non ci viene rinnovato il permesso di lavoro, e siamo costretti a lasciare il Paese, tornado così in Italia. Nasce Laura, e tutto sembra pronto per un ritorno imminente in Africa. Ma la burocrazia ci blocca, e così siamo costretti a ritrovarci una casa in affitto, un nuovo lavoro e iniziare di nuovo una vita “italiana” un po’ stretta.
Ora le bimbe sono 2, e siamo tornanti in Zimbabwe per le ferie con le nostre piccole. Ma grazie alla mia esperienza come logista, e l’aver accompagnato molti donatori o medici nei Parchi Nazionali o in giro per lo Zimbabwe alla scoperta di siti archeologici, pitture rupestri e panorami fantastici, vengo contattato da un’azienda locale per poter accompagnare alcuni viaggi nel Paese, sia come safari fotografici che come viaggi per un aspetto storico-culturale. Accettato questa nuova sfida, lascio di nuovo il lavoro e parto con questa nuova avventura sperando che mi dia la possibilità, quanto prima, di poter portare la mia famiglia di nuovo in Zimbabwe.
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