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Questo articolo è stato aggiornato il Marzo 2, 2015
Il giornalista Beppe Severgnini scrive “In America non si va, in America si torna, anche la prima volta!”
Quando atterri al JFK non capisci dove sia Manhattan.
Però hai la certezza che sia laggiù da qualche parte.
Ed allora vieni presa da una leggera frenesia … Non vedi l’ora di uscire dall’aeroporto.
Ma, non é un meccanismo così immediato.
Dogana.
Domande di rito.
Ritiro bagagli.
Consegna documenti.
Ultimo controllo.
Poi una marea di taxi gialli ad attenderti.
Ed anche mentre cominci a percorre le strade mica hai ben chiaro dove sia Manhattan.
Ad un certo punto peró intravedi delle sagome familiari, passi sotto un lungo tunnel e quelle sagome, tornata la luce, sono diventate grattacieli dai quali sei letteralmente sommersa.
Vedi grattacieli di tutte le forme e le fatture e non sai più sul quale posare la vista.
Mi è sembrato di essere entrata in un film: caos,decine di taxi gialli, luci, colori.
Una scena vista molte volte nello schermo, così lontana dalla nostra realtà eppure così familiare.
A New York non ti senti straniero: la maggior parte delle cose che noi utilizziamo nel quotidiano passano da qui. Altre che sono qui dovranno ancora arrivare.
Tante immagini catturate dall’occhio e fatte passare per il cuore per trasformarle in emozioni… e tra l’occhio e il cuore una macchina fotografica, strumento prezioso, che ferma quelle immagini per dare domani la possibilità di rivivere, rivedendole, quelle emozioni e di condividerle.
Il colore oro del prometeo di Rockfeller Center, il giallo dei taxi, il verde di Battery Park, il nero delle divise dei policemen, l’azzurro del cielo, il blu del mare della baia, il grigio argento dei giganti di cemento, il rosso, che dalle insegne pubblicitarie, si unisce al blu e al bianco delle stelle e strisce. E poi, milioni di volti, impastati di razze e di espressioni, di sorrisi e di tristezze, di gioia di vivere e di angosce.
Trovarsi qui, e come sentirsi al centro del mondo!
Uno dei modi per scoprire la città é farlo da sud verso nord.
A downtown la storia si insegue, ecco che si passa da ground zero e da quei nuovi luoghi creati nel buco lasciato dalla storia, a Wall Strett, alla Borsa, al museo degli indiani, al grande toro, fino ad arrivare a Buttery Park dove c’é un altro pezzo del World Trade Center, una grande sfera miracolosamente salvata da sotto le macerie, e poco più avanti si intravede la baia, lady liberty e Ellis Island.
Il piccolo parco sul mare, con il forte dei cannoni e il chioschetto degli hot dog fanno da cerniera tra la Manhattan e le altre isole. Il traghetto, lento e carico, trasporta orde di turisti alla statua della libertà che si vede bene anche da lontano senza affrontare la calura e le persone assiepate in poche centinaia di metri alla base del piedistallo dell’austera signora. Anche dal ferry boat ha un fascino tutto suo, indica un simbolo e un valore di cui ogni americano ed ogni uomo e donna del mondo non può prescindere.
Ellis island invece parla della storia dell’America come terra promessa e dell’Italia fatta di immigrati che cercano fortuna nel nuovo mondo. Sarà che anche nella mia famiglia esiste la “zia dell’America”, sarà che il cognome di mio padre si trova negli archivi dell’isola, sarà che il mio viaggio è un viaggio diverso da quello di sopravvivenza, sarà che anch’io a mio modo sono un’emigrante, ma, Ellis Island mi ha emozionato e fatto riflettere sul valore dell’essere a casa in ogni luogo e sentirsi a casa in pochi posti.
Tornati a Manathann il giro per la downtown prosegue con una passeggiata lungo i Pier fino ad arrivare al numero 17 dove antichi velieri, che spezzano il ritmo dei grandi grattacieli, fanno da cornice tra un moletto di altri tempi ed un grande centro commerciale dove si trova ogni sorta di cibaria, dal messicano al cinese, dall’italiano al japponese e da dove puoi ammirare abbagliata il fiume, il ponte di Brooklyn e Dumbo. E da lì a piedi o in metrò puoi, dopo una breve pausa al tramonti, rituffarti nel ritmo frenetico di quella città che veramente non dorme mai.
Nota a margine: New York ha mille volti e quelli che danno più da riflettere sono quelli che non si vedono nei telefilm. Quelli della città quotidiana e non straordinaria. Quelli degli afroamericani obesi, delle ragazze arruffate e un poco trasandate, degli spazzini o dei barboni, degli operai o delle commesse. Quelli di chi a New York vive o sopravvive, di chi non ha solo il lusso o un paio di tacco 12, di chi ricarica la tessera della metropolitana e si sporca le mani e non solo di chi corre in uffici finanziari, grandi boutique e sale sulle limousine.
Foto di Stefano Ravalli, Henry Hemming, Fraser Mummery, See-ming Lee, Kevin Dooley, Vinoth Chandar
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