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Questo articolo è stato aggiornato il Gennaio 8, 2014
Vorrei raccontare Genova, secondo me. Non in senso propriamente “turistico”, del tipo “cosa vedere”, eccetera, ma in senso più “narrativo”. Vorrei farlo perché trovo sia una città da molti dimenticata o sottovalutata. Io stessa, dopo tanti anni l’avevo dimenticata. Felice di averla ritrovata. Sporca e raffinata, come la ricordavo. Genuina, nutrita dal basso e con lo sguardo verso l’alto, al tempo stesso. Odorosa di passato e profumata di futuro, di Medioevo e di Renzo Piano. Di Paganini e di De Andrè. Di Colombo e di Mazzini.
Mi ricorda un po’ Trieste, sotto diversi aspetti. Uno su tutti, l’essere, in un certo senso, una città di frontiera. Scomoda da raggiungere e, forse per questo, poco presente nelle destinazioni di viaggio. E poi il suo essere decadente e chic al tempo stesso. Letteraria, musicale e sperimentale. Fabrizio de Andrè la cantava, o meglio, cantava “una” Genova. Passeggiando per le sue strade, ne ho respirato, anche questa volta, due anime. La Genova di Via Garibaldi e la Genova di Via del Campo.
La prima, la Genova delle strade in senso stretto: teatrale e monumentale, elegante, principesca, sontuosa, scenografica e maestosa, dai palazzi rinascimentali e barocchi affrescati, con terrazze e giardini pensili, giochi d’acqua e di specchi, zampilli, fontane e fontanoni, pareti e soffitti stuccati e bugnati, intonaci color azzurro e rosso sangue, pavimentazioni bicrome con motivi a scacchiera. Genova del Rinascimento, del Barocco, del Settecento e del Risorgimento (la Casa di Mazzini, dietro Via Garibaldi, ce lo ricorda). La seconda: la Genova dei “caruggi”, dei panni appesi in aria ad asciugare, degli odori che escono dalle finestre, dei “bassifondi”, del “popolo”, la Genova degli emarginati, delle prostitute di Via della Rosa, la Genova della “terra” e della “polvere”, dell’intonaco scrostato.
Oggi, quest’ultima è in realtà una Genova in parte riqualificata, con gallerie d’arte e negozi ricercati. La Genova dei contrasti, quella della Promenade delle Ville di Corso Italia, che sfociano nel porticciolo di Boccadasse. Ma, su tutti, domina una sola Genova: la Genova degli scorci inaspettati, delle sorprese continue, dal palazzo cinquecentesco che sorprende il turista distratto, alle piccole piazze prospicienti le scenografiche chiese barocche, quasi sproporzionate, talvolta, rispetto alle case circostanti, alte e strette (passeggiando per i vicoli di Genova, ho pensato che anche Roma una volta doveva essere così, prima del “riassetto” fascista.
Senz’altro lo era in zona San Pietro). Andate a Genova: la magnificenza dei suoi palazzi (dal Palazzo Ducale ai Palazzi dei Rolli e, in particolare, ai Palazzi di Strada Nuova) si mescolerà a quella delle sue chiese e dei suoi chiostri, la polvere dei suoi vicoli alle sperimentazioni architettoniche del suo porto, gli odori della focaccia a quelli della farinata, del pesce, delle trenette al pesto e del pandolce, la letteratura si confonderà con la musica, l’architettura e le arti figurative. I grandi palazzi faranno da pendant ai piccoli musei, il vetro e l’acciaio di Renzo Piano alla pietra della storia, le note dei cantautori della Scuola Genovese agli spartiti manoscritti di Paganini. Andate a Genova, stateci almeno un paio di notti e non ve ne pentirete.
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Anche io l’ho trovata bella e un po’ spigolosa…
sì, non è una città che “abbraccia” il visitatore…