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Questo articolo è stato aggiornato il Dicembre 19, 2016
A Berlino c’è un intero isolato dove si concentra la maggior parte dei musei della città: si tratta della Museumsinsel, l’isola dei musei, proprio nel cuore del quartiere Mitte. Si può scegliere tra l’Altes Museum, il Pergamon o il Bode Museum: un paradiso per gli amanti dell’arte e della storia. Io non avevo molto tempo a disposizione, per cui ho dovuto fare delle scelte, decidendo di vedere determinate cose e di metterne da parte altre, con l’intenzione di tornare presto a Berlino.
Così in un freddo pomeriggio di inizio novembre ho deciso di attraversare il ponte sulla Sprea, di lasciarmi alle spalle il Duomo e di scendere i pochi scalini che portano all’ingresso del DDR Museum. Non è un museo nel senso classico del termine: in realtà si tratta di un’esposizione interattiva, di un racconto che mostra il passato attraverso oggetti, suoni e immagini. Lo scopo è quello di descrivere la vita quotidiana ai tempi della Repubblica Democratica Tedesca.
In una città come Berlino, le ferite del passato saranno anche guarite, ma il ricordo del dolore rimane: lungo la East Side Gallery, dove quasi un chilometro e mezzo di muro è rimasto intatto affinché sia impossibile dimenticare, oppure al Memoriale del Muro di Bernauer Stasse, dove non è difficile rendersi conto cosa volesse dire vivere in una città divisa.
Il capitalismo a ovest, il socialismo a est: da una parte e dall’altra del muro. Gli eventi storici sono più o meno noti, mentre si sa molto poco su come si svolgesse la vita quotidiana nella ex Berlino est. Il museo cerca di rispondere a una serie di domande semplici, che però fanno riflettere: in che modo si viveva? In che modo lo stato influiva sulle scelte della gente? In che modo la dittatura limitava il libero arbitrio?
Le sezioni del DDR Museum cercano di fornire delle risposte immediate e concrete, attraverso oggetti di uso quotidiano che si possono guardare e toccare, passando dal tema della scuola a quello del lavoro, dal cibo al tempo libero. Così per esempio si possono sfogliare le riviste autorizzate dal regime, guardare in una sala cinematografica ricostruita i film della DDR. È anche possibile salire sulla Trabant, la macchina del popolo, mettersi al volante vedendo scorrere sul parabrezza le immagini proiettate che danno un’idea molto vivida di come fosse il paesaggio urbano ai tempi della Berlino sovietica.
La parte più realistica è quella dedicata alla ricostruzione di un appartamento del popolo. Si ha l’impressione di essere catapultati indietro nel tempo, e non è una sensazione piacevole. Quando si passa attraverso l’ascensore – vero ma immobile – si ha l’illusione di essere proprio in uno degli appartamenti popolari. L’ascensore conduce a un pianerottolo dal quale si accede a un’abitazione di cinque camere, dove anche la carta da parati ci riporta direttamente a Berlino Est. Si intuisce cosa significasse vivere in un mondo in cui veniva imposto come vestire, cosa mangiare, cosa leggere, quante volte fare la doccia e cosa pensare.
La ricostruzione è estremamente realistica, a partire dal salotto con tanto di televisione, libreria e macchina da scrivere. In cucina c’è ancora un frigorifero originale, nella camera da letto principale ci sono gli abiti appesi nell’armadio e in quella dei bambini i giocattoli sulla scrivania. Il bagno è quasi lussuoso, se si considerano gli standard del resto dell’Europa in quegli anni: c’era acqua corrente e addirittura una lavatrice. Per non parlare poi del riscaldamento centralizzato.
Il messaggio che lo stato voleva trasmettere era semplice e diretto: gli abitanti della DDR avevano accesso a standard di vita moderni sotto il Socialismo. In effetti, la percentuale di abitazioni dotate di riscaldamento era molto basse negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Pochissime persone avevano il privilegio del bagno in casa, e in pochi potevano permettersi di garantire un’istruzione ai figli. Ma, come tutti i regimi totalitari, anche il Socialismo della DDR aveva i suoi lati oscuri. Nessuno poteva scampare al controllo assoluto esercitato dalla Stasi, il Ministero per la Sicurezza di Stato, che in sostanza spiava i cittadini. Nelle stanze del museo è possibile vedere come tutte le persone fossero sotto stretta sorveglianza attraverso le microspie collocate negli appartamenti. È anche stata ricreata una stanza per gli interrogatori e una cella di detenzione.
Quando si esce dal museo si prova quasi una sensazione di sollievo, al punto tale che si apprezza l’aria fredda che arriva dal nord. Passare attraverso le stanze crea non poco disagio, anche per i messaggi contrastanti. Per esempio, le cucine degli appartamenti del popolo erano modernissime, ma il cibo era razionato; i bagni avevano l’acqua calda e la vasca, ma era lo stato a decidere quando e quanto ci si dovesse lavare. I bambini venivano incoraggiati a leggere, ma solo i libri approvati.
Quello che è chiaro è che la vita nella DDR è stata sinonimo di privazione, fame, repressione e terrore. Ho un dubbio però mentre cammino a passo spedito, diretta verso Alexanderplatz: i visitatori che nelle stanze del museo incoraggiavano i bambini a farsi i selfie accanto alla Trabant hanno colto davvero il significato di questo spazio espositivo? Forse non è il luogo ideale se non conosciamo qualcosa del passato. Forse tendiamo a dimenticare troppo velocemente quello che è successo.
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