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Questo articolo è stato aggiornato il Luglio 11, 2014
Dall’8 settembre al 20 dicembre 2009 ho vissuto un’importante esperienza di vita a Berlino. Ragione della permanenza: soggiorno e studio all’estero come previsto dal mio programma di Dottorato di Ricerca.
È molto difficile ricostruire a posteriori le mie impressioni ed esperienze, perché l’immagine della città – o meglio il rapporto più o meno intimo con essa – cambia di giorno in giorno. Inoltre, sento che è difficile dare un giudizio netto e unico su questa mia parentesi di vita. Ci provo.
Cercare casa a Berlino è molto diverso da cercare casa, per esempio, a Novara. Nel 2006 ho soggiornato per due mesi nel capoluogo di provincia piemontese e per trovare un monolocale mi è bastato chiamare alcune agenzie immobiliari, che nonostante si siano fatte pagare una mensilità per l’intermediazione (400 €) mi hanno reso un servizio veloce ed efficiente. In una decina di giorni ho trovato sistemazione a distanza, senza recarmi di persona in loco.
A Berlino è stato più difficile. Non solo per la lingua, ma anche perché le regole culturali che collegano locatore e locatario sono diverse. Essendo le agenzie immobiliari molto care, tutto passa dalle bacheche elettroniche che mettono in comunicazione chi offre e chi cerca. Tutto è uno-a-uno, nel senso che si devono prendere appuntamenti per visitare le case e si devono passare dei casting dove la concorrenza è impegnativa. Ho capito che non potevo non recarmi di persona sul posto e a fine agosto, nel giro di un paio di giorni, ho prima preso alcuni appuntamenti e quindi ho prenotato un volo a costi esorbitanti. A Berlino ho preso una stanza al mitico e confortevole Hotel Circus, dove ho soggiornato più volte e dove, in seguito, mi sono anche esibito come musicista. Sono riuscito a vincere un “casting” aggiudicandomi un bel monolocale a Tiergarten, affacciato sul fiume (affitto di 350 € mensili all inclusive). Grazie alla mia passione per la musica e al fatto che venivo dall’Italia, ho conquistato la fiducia dell’amabile padrona coreana, compositrice di musica contemporanea. Con le chiavi in tasca sono tornato in Italia, soddisfatto di questa mia piccola sfida personale. Cercare casa direttamente al mio arrivo sarebbe stato problematico: troppe valigie da gestire, troppa ansia da amministrare. 400 € di volo e 100 € di hotel sono stati, insomma, soldi ben spesi. Ma ho rimpianto davvero l’intermediazione immobiliare. Se hai un lavoro mediamente pagato – come nel mio caso – e non hai voglia o tempo materiale di sbatterti oltremodo, trovare una buona casa a Berlino non è così facile come tutti sostengono. Occorre investire davvero molta energia.
Il mio lavoro era uno studio di tipo teorico. In questi mesi il mio obiettivo era costruire un modello concettuale che unisse sociologia urbana e marketing nello studio del “city branding”, ovvero la disciplina che cerca di valorizzare le risorse simboliche e immaginifiche delle città per aumentarne le performance economiche e la vivibilità sociale. Avevo un comodo ufficio condiviso presso un’università tedesca e dividevo il mio tempo tra casa e università. Inserirsi in una comunità scientifica internazionale è stato difficile ma appagante e presentare le proprie ricerche a persone provenienti da tutto il mondo è stata una bella sfida. Linguistica, in primis. Sociale, in secundis. All’università si parlava inglese, ma fuori si parlava decisamente tedesco. La questione della lingua merita un paragrafo a parte e vado a capo.
Tutti mi dicevano che a Berlino l’inglese è sufficiente. Lo è di certo nella mia università ma appena si varca l’uscio ci si accorge che non è proprio così. Parlare tedesco se si vuol vivere a Berlino è molto importante per due ragioni. La prima è che si deve chiamare un corriere o un idraulico (come è capitato a me) l’inglese è spesso inutile. Anche portare una camicia al lavasecco o chiedere un taglio particolare di carne al market richiede l’uso della lingua tedesca. Avendo studiato un po’ di tedesco alle medie me la sono cavata abbastanza bene… Ma non capisco come fa chi vive a Berlino da anni e preferisce limitarsi all’uso dell’inglese. Il secondo ordine di ragioni è di tipo culturale: quando interagisci coi tedeschi senti che parlare la loro lingua è preferibile. Ti apre un mondo di relazioni, ti rende ai loro occhi migliore. E tu senti davvero di esserlo. L’incontro di una persona, in particolare, con la quale parlavo italiano e tedesco in una sorta di tandem partnership, mi ha spinto a concentrarmi sul ripasso della lingua e la ringrazio di cuore per avermi aperto questo mondo.
Per quanto riguarda il discorso costo della vita e retribuzion, Berlino è davvero una città poco cara. Con i miei 1’500 euro di borsa di studio dall’Italia potevo permettermi una vita molto agiata, arrivando a spendere non più di 1’200 euro al mese complessivi. Al supermercato e nei pub i prezzi sono davvero più bassi, così come nel mercato degli affitti. Discorso non del tutto valido per il ristorante (prezzi un po’più alti in rapporto ai supermercati) e per altre attività. Se andare in piscina costa poco (3 euro), giocare a tennis a Berlino, per esempio, è molto costoso. Per 45 minuti ti fanno pagare anche 9 o 10 euro a testa. I trasporti sono cari (un giornaliero costa più di 6 euro e una corsa singola 2,10) ma gli studenti sono trattati con molti favori. Io con 160 euro ho avuto diritto a un titolo di viaggio semestrale. Ad ogni modo, l’affitto e il costo del cibo sono determinanti nel rendere Berlino una città a portata di studente.
Com’era la città? Me lo chiedo ancora spesso. Ritengo che Berlino non sia una bella esteticamente. Troppo grigio, troppa poca identità urbanistica per chi è abituato, come noi italiani, ai centri storici di Roma, Venezia, Firenze eccetera. Ho constatato che Berlino la si respinge o la si abbraccia totalmente. Io mi colloco esattamente a metà… Hasslieb direbbero i tedeschi. È difficile dare un giudizio unico quando stai tre mesi in un luogo. Lo sguardo del turista ha poco tempo per cogliere ed elaborare. Lo sguardo di un abitante cattura sia gli stimoli belli che quelli brutti e costruisce un quadro complesso. Ho vissuto giorni di buio assoluto e giorni di carica emotiva incredibile. Giorni di soddisfazione e giorni di frustrazione. A volte la città è stata come una cella, altre volte come una piattaforma di lancio. Ho sofferto il fatto di non avere un vero centro urbano, una piazza all’italiana diciamo, un punto di ritrovo. Di questo ho sentito la mancanza. Alexanderplatz è un finto-centro. Anche perché a Berlino il centro non esiste, o si sposta continuamente. Est e Ovest esistono ancora nelle abitudini delle persone, nel diverso valore che attribuiscono agli edifici e alle strade. Questo è stato molto affascinante. Il calore umano io l’ho trovato nel vecchio ovest, tra Tiergarten, lo Zoo e Charlottenburg. Forse è un caso, certo, ma più probabilmente un incastro tra una città poliedrica e le mie attitudini personali, che mi hanno fatto riconoscere in quelle zone una sorta di casa. Non ho conosciuto nessuno, a parte i residenti stessi, che preferisse quelle zone alle vibrazioni del vecchio Est… Friedrishain, Prenzlauer Berg… Un altro punto di Berlino che amo è Rosenthaler Platz, a Mitte. Merito del Circus Hotel, una struttura non certo economica ma accogliente dove ho vissuto momenti importanti. Il mio primo concerto all’estero, la cena d’addio con gli amici più stretti.
Ora qualche fotogramma più concreto. Al supermercato non ci vogliono i guanti per prendere la frutta e pesarla… orrore. Alla mensa i vassoi non hanno la tovaglietta, speriamo siano sterilizzati. Sulla cartolina del corriere è prevista un’opzione un po’ strana: la consegna del pacco al vicino di casa in caso il reale destinatario sia assente. Interessante… Ci dice molto sui rapporti di vicinato.
La pasta Barilla è diversa da quella italiana… forse anche le mozzarelle Santa Lucia. Gli yoghurt tedeschi sono imbattibili, la colazione era una festa. Anche per me che ho scelto di vivere da solo.
Un ristorante e un piatto: a Prenzlauer Berg la birreria Prater in Kastanienallee. La carne è super anche se costicchia. Provate l’oca o l’anatra quando ci sono. Per la pizza al trancio segnalo Dolce Pizza in Turmstrasse Alt Moabit. Per quanto riguarda i ristoranti italiani condanno quello degli Apostel e premio la trattoria Vai Mo’ in Danziger Strasse sempre a Prenzlauer. Per i dolci non male la Konditorei vicino casa mia, all’angolo tra Hollsteiner Ufer e Bartningallee. Ma occhio alle vespe. Sono una condanna a Berlino nella stagione bella.
Un locale notturno particolare, oltre all’affascinante e pluri-osannato Berghain, potrebbe essere Roadrunner’s Rock & Motor Club inserito dentro un vecchio complesso industriale. Accanto a un portone dove si legge Alfa Romeo, in una piccola corte c’è un piccolo club rock, le cui pareti traboccano di ogni oggetto possibile immaginabile. Può sembrare un porto per Harleisti, ma nessuno si sente a disagio. E ve lo dice uno che odia le moto. Il posto è a Prenzlauer, vicino alla fermata della U-bahn di SenefelderPlatz. La piccola via si chiama Saarbrücker Strasse 24.
Il trauma post estero. Difficile è partire, difficile è ritornare. Il mio pensiero a riguardo era che si parte per ritornare, ma poi si ritorna per ripartire. Non so se questa profezia si sia avverata completamente ma dopo i primi giorni di rientro in Italia ho notato una tendenza a impegnare tutti i week-end con i più svariati impegni. Una fuga da qualcosa forse. A tre mesi di distanza, invece, sento forte l’esigenza di piantare salde radici in un luogo, non so quale però. La società ci richiede oggi alte performance che ci impongono di avere con lo spazio e i suoi luoghi un rapporto molto delicato. Nel mio caso ho sentito “scompensi affettivi” sia all’andata che al ritorno. Credo purtroppo di riconoscermi completamente in George Clooney nel film Sopra le Nuvole. Una pellicola che consiglio a chi sta litigando con lo spazio e le sue distanze. Quelle che nemmeno un volo low cost può cancellare.
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