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Questo articolo è stato aggiornato il Giugno 10, 2016
Una delle mie citazioni di viaggio preferite è di Maometto.
“Non dirmi quanti anni hai, o quanto sei educato e colto, dimmi dove hai viaggiato e che cosa sai.”
Provo a raccontarvi che cosa so della Cambogia.
Un viaggio rimandato anni fa, preparato, studiato, sognato.
A dicembre, con una tazza di the in una mano e la vecchia guida della Cambogia nell’altra, ho impugnato la carta di credito (dopo aver appoggiato la tazza) e ho sferrato l’attacco: mi sono accaparrata un volo con Ethiad Airways da Milano a Bangkok per soli 479 Euro.
Questa volta sono partita da sola, con umanissime paure, tanta eccitazione, molte aspettative e una sfida: un budget di trenta dollari al giorno. Vi dico subito che l’ho persa ma avrei potuto assolutamente farcela se non avessi dormito sempre (fatta eccezione per l’ultima notte) in una stanza singola.
Il mio giro è durato 17 giorni e ho sforato di 10 $ giornalieri il mio budget per cui, questo viaggio, ha avuto un costo totale definitivo di Euro 1500 (volo internazionale, due voli interni, visto, ingressi ai monumenti, pasti, hotel, extra).
Poco? Tanto? Decidete voi. L’8 febbraio sono salita sulla navetta Torino-Malpensa e l’avventura è iniziata.
Febbraio è un periodo perfetto, la stagione è secca, il caldo è sopportabile ma non debilitante come un viaggio in Asia ad aprile. Avevo in testa un itinerario di massima e tutta l’intenzione di visitare la parte est del paese, Mondulkiri, a detta della guida la zona più selvaggia.
Avrei tralasciato il mare, le spiagge e la gettonatissima Sihanoukville, meta di punta del turismo occidentale insieme a Siem Reap. In rete non riuscivo a trovare molto su Mondulkiri, quindi mi sono detta “Ok, lo scoprirò lì!”
Il mio itinerario ha toccato queste città: Bangkok-Phnom Penh- Mondulkiri-Battambang- Siem Reap. Prenotazioni nessuna, fatta eccezione per la prima notte di arrivo a Bangkok, ogni tre giorni circa prenotavo dalla località di turno l’hotel successivo. Molti iniziano a vedere la Cambogia visitando come prima cosa l’Angkor Wat, io ho invertito il tragitto, lasciando la visita ai templi per ultima.
Dalla Thailandia sono volata su Phnom Penh all’andata e ripartita da Siem Reap al ritorno. Ho trascorso la prima notte a Bangkok in un hotel vicino all’aeroporto Don Mueang per evitarmi la levataccia del mattino dopo, poiché il mio volo per Phnom Penh sarebbe partito prestissimo. Mi dilungo un pochino per darvi questa dritta da viaggiatrice low cost: usate le navette gratuite che offrono in aeroporto! Non spenderete un euro. Mi spiego meglio: per risparmiare sul taxi avevo prenotato dall’Italia, l’hotel vicino al Don Mueang anche perché metteva a disposizione il transfer gratuito per i propri clienti da e per l’aeroporto. Avrei dovuto usare un taxi solo per andare dall’aeroporto internazionale Suvarnabhumi al mio hotel: mi hanno chiesto circa 40 euro!
A quel punto mi sono ricordata come avevo fatto due anni prima, che da Bangkok-Suvarnabhumi al Don Mueang ci arrivate con la navetta gratuita messa a disposizione dall’aeroporto. Un volta recuperati i bagagli, recatevi fuori fra il gate 2 e il 3, c’è un banchetto con un simpatico omino a cui dovete dimostrare di avere una carta di imbarco per il Don Mueang a stretto giro ed è fatta: ogni 20 minuti c’è una navetta che in un’ora vi porta a destinazione, perché è questo il tempo di percorrenza fra un aeroporto e l’altro che può variare a seconda del traffico.
Arrivata al Don Mueng anziché prendere il taxi per coprire i dieci chilometri che mi separavano dall’hotel, mi sono diretta all’info point all’interno dell’aeroporto. Mostrando loro la mia prenotazione, hanno telefonato all’hotel passandomi direttamente la reception. Sono venuti a prendermi (gratuitamente con la loro navetta) dopo dieci minuti. Così un backpacker risparmia quasi 50 euro. Tutti i miei colleghi mi comprenderanno.
Il servizio chiaramente esiste anche al contrario, dal Don Mueng al Suvarnabhumi. Non ho fatto molto altro al mio arrivo, sapendo che mi aspettavano giorni movimentati, mi sono regalata un massaggio e molto riposo. Il mattino dopo sono arrivata a Phnom Penh dopo un’oretta di volo, con un sole magnifico e il tuc tuc che mi era stato inviato dall’hotel in base ai nostri accordi. Nella capitale ho trascorso tre giorni dedicati per lo più alla visita dei monumenti simbolo della città, il Palazzo Reale, la Pagoda d’Oro e il Museo Nazionale di cui ho apprezzato il delizioso giardino interno. Il mio impatto con Phnom Penh non è stato così terribile come avevo letto in molti racconti di viaggio. Posso dire a suo favore che l’ho trovata più autentica di Siem Reap, seppur con forte concentrazione di locali per occidentali a seconda delle zone.
Come donna che viaggiava da sola ho cercato di prenotare hotel che fossero in zone centrali, questo in qualche modo mi tranquillizzava perché non sono un super eroe.
L’hotel della capitale, Mama Veary Guesthouse, lo consiglio altamente: dispone sia di camere singole che dormitori, wifi nelle zone comuni e nella camera, inoltre si trova in ottima posizione e ha sia una reception efficiente che un ristorante annesso. Per visitare i monumenti principali mi sono mossa sempre a piedi, la reception vi prenoterà qualsiasi servizio di cui avete bisogno altrimenti recatevi nelle agenzie che trovate numerose lungo la strada e soprattutto nella zona del lungo fiume; altrettanto piena di locali, centri massaggi e negozi.
Da Phnom Penh come da Siem Reap, potrete pianificare ogni vostro spostamento sia in Cambogia che nei paesi confinanti, in aereo, in bus, in traghetto.
Il motivo principale che mi ha condotta a Phnom Penh era la mia ferma intenzione di visitare i luoghi del genocidio perpetrato dai khmer rossi. La visita a questi siti l’ho concentrata in una sola giornata, muovendomi in questo caso con il tuc tuc dal mattino al tramonto. La giornata più dura di tutto questo viaggio ma anche necessaria a mio avviso. Personalmente non sarei stata in grado di ignorare la storia di questo paese: la prima tappa è stata il campo di sterminio di Choueng Ek, a quindici chilometri circa dalla città. Non ci sono mezzi pubblici per arrivarci, il tragitto per raggiungerlo vi permette di vedere la città lontana dalla zona turistica.
Ad un certo punto il tuc tuc si è immesso in una stradina sterrata e lo scenario è diventato ancora più interessante perché molto più campestre: palafitte, donne al lavoro, bambini che correvano, famiglie in quattro sul motorino, panni stesi al sole, cibo messo ad essiccare.
Una volta arrivati davanti al campo, non fatevi problemi a dire semplicemente al driver che vi rivedrete lì fuori, non stabilite un orario se vi è permesso dai vostri programmi.
Non può esserci un tempo per questo luogo, prendetevi quello che vi occorre in base a quello che vi succederà. Prendetevi tempo per riascoltare le testimonianze dell’audio guida, per piangere, per ascoltare i brani musicali di accompagnamento, per stare in silenzio, per pregare, per rimanere senza parole e senza fiato.
Il tuc tuc vi aspetta. Garantito.
L’audio guida va presa, è una delle migliori che abbia ascoltato nella mia vita: è inclusa nel costo del biglietto (6 dollari), tradotta in 15 lingue (c’è anche l’italiano) e vi condurrà empaticamente alla scoperta di ogni fermata con le sue voci, frutto di testimonianze diverse, insieme ai brani musicali di accompagnamento che potete ascoltare mentre vi muovete da una postazione all’altra.
Vi sentirete fuori luogo e tristi, arrabbiati e impotenti. Quel giorno non ho più parlato molto e non ho interagito con altri se non per il minimo sindacabile. Ogni parola mi sembrava superflua e anche i miei pensieri.
Il mio tempo al campo è stato di circa due ore e mezzo, subito dopo mi sono fatta portare al Museo Tuol Sleng, conosciuto come S-21. Questo liceo fu occupato dai khmer rossi nel 1975 e divenne non solo un carcere di sicurezza anche uno dei luoghi in cui le torture ai danni dei prigionieri furono terrificanti. La visita qui richiede molto più tempo a mio avviso, ci sono 4 edifici di 4 piani ciascuno, in ogni piano dove prima c’erano delle normalissime aule trovate allestimenti diversi a testimoniare la follia di Pol Pot. Fotografie dei detenuti, le celle minuscole in cui venivano rinchiusi, le stanze di tortura. Qui non mancano bancarelle che vendono per lo più libri di testimonianze legate alla prigionia. Inoltre ci sono due sopravvissuti, due piccoli vecchietti a cui, se volete, potete fare delle domande e acquistare il loro libro.
Non so se è perché avevo visto il campo poche ore prima ma l’S-21 non mi ha lasciato lo stesso senso di smarrimento e sgomento, sebbene sia un’esperienza altrettanto forte. Una cosa però è successa: poiché le scuole in Cambogia hanno la stessa struttura architettonica del Liceo Tuol Sleng, ogni volta che durante il mio viaggio, da un autobus in corsa, vedevo un liceo, identico a quello, con bambini e ragazzi che giocavano fuori, le immagini torbide dell’S-21 sono tornate a galla. Sempre.
Dall’hotel di Phnom Penh ho prenotato direttamente il bus che in cinque ore (diventate sette) mi avrebbe portata a est, a Mondulkiri, nel capoluogo della provincia: Sen Monorom. Qui lo scenario cambia completamente e fra le varie attività proposte ho scelto di fare un trekking nella jungla di due giorni dormendo presso una delle comunità locali, i Bunong.
Da Sen Monorom il mio programma prevedeva di raggiungere Battambang da dove avrei preso la barca che, navigando lentamente, mi avrebbe condotta a Siem Reap.
Se vi trovate in questa zona della Cambogia, l’unico modo per proseguire il vostro viaggio è tornare sempre a Phnom Penh: snodo fondamentale per le altre destinazioni, qualsiasi agenzia o hotel vi organizzerà il transfer. Prevedete un giorno di viaggio e un cambio. Non esistono autobus diretti e i pullman per la capitale sono solo due al giorno: uno molto presto il mattino e il secondo nel primo pomeriggio.
Consiglio quindi di informarvi appena arrivati in modo da pianificare gli spostamenti successivi e prenotare il biglietto: utilizzano dei minivan per cui i posti non sono molti, rischiereste di rimanere bloccati e perdere un giorno.
La tratta Sen Monorom-Battambang dura circa dieci/undici ore con una sosta di un’ora a Phnom Penh. Il costo è irrisorio, 12 dollari, con almeno due soste a tratta per il bagno e un pasto.
Non dimenticate salviette o carta igienica e non vi aspettate il bagno dell’autogrill.
L’arrivo a Battambang è stato molto desiderato dopo un giorno intero passato sul minivan: questa piccola città coloniale è considerata per lo più zona di passaggio o adatta ad una sosta breve prima di raggiungere Siem Reap per farsi travolgere dall’Angkor Wat. Personalmente mi è piaciuta moltissimo e mi dispiace non averci trascorso una giornata in più. Dopo un giorno e mezzo, a malincuore, ho abbandonato l’affascinante semplicità di Battambang per prendere finalmente la barca che in sei o sette ore di navigazione mi avrebbe portata a Siem Reap, ultima tappa del mio viaggio.
Questa parte di avventura, in barca , è stata per me la più bella in assoluto dei mie viaggi fluviali, per il paesaggio di cui ho potuto godere dalla mia posizione privilegiata: il tetto della barca.
Il mio tour si è concluso a Siem Reap in cui ho trascorso tre giorni intensi a visitare l’Angkor Wat. L’impatto con Siem Reap, dopo Battambang è stato, per me, negativo. Turisti rumorosi ovunque; luci sparate; Pub Street, la via centrale, piena di pub e locali in cui potresti essere in qualsiasi città occidentale e non ti accorgeresti della differenza; mercati pieni di oggetti per i turisti; visite all’alba all’Angkor Wat che di spirituale e mistico non hanno più nulla e, se vuoi, ti portano anche il caffè mentre aspetti il sole sorgere.
Insomma, so bene che per molte persone in posti come Battambang non c’è nulla e a Siem Reap c’è tutto: è personale, molto personale.
Il mercato notturno per chi non ne ha mai visti ha sempre il suo fascino, potete assaggiare cibo locale e particolare come la carne di coccodrillo, le tarantole fritte e altri insetti. Trovate spezie di ogni tipo dalla lemon grass al pepe nero di Kampot, qui molto pregiato; creme naturali, stoffe, candele, t-shirt, scarpe taroccate, diverse qualità di riso etc. Potreste passarci ore fra le bancarelle.
Solo a Siem Reap, dopo aver passato la giornata a scarpinare tra i templi, potete farvi i massaggi ai piedi e alle gambe per un dollaro! “Un dollaro dieci minuti, tre dollari trenta minuti” recitano come una litania i massaggiatori che cercano di attirarvi verso il loro centro estetico. Dovete provarne diversi, alcuni sono davvero pessimi e altri meravigliosi e davvero capaci. La spesa più incisiva di questa viaggio è certamente da imputare alla visita all’Angkor Wat, quindi mettetelo in conto.
Il pass per un singolo giorno vi costerà 20 dollari, per tre giorni 40 dollari e per una settimana 60 dollari. Contrattate con i vari tuc tuc che trovate in giro e, se potete, dividete la spesa con altri viaggiatori!
Personalmente ho scelto il pass da tre giorni e ho diviso la spesa del tuc tuc per tre giorni interi, con supplemento alba e tramonto, con un’altra ragazza italiana conosciuta in viaggio.
L’autista per tre giorni ci è costato 60 dollari. Cercatene uno che parli inglese davvero o la comunicazione anche solo per una questione logistica diventa complicata: vi proporranno di scegliere fra il piccolo circuito o il grande, chiaramente dipende da quanto vi fermate e da cosa vi interessa. Il piccolo circuito include i templi più vicini e principali, ideale per chi non può fermarsi molto. Il grande circuito, vi permetterà di visitare anche i templi più distanti, per questo tre giorni sono necessari.
Il complesso in generale è sicuramente stupendo, l’Angkor Wat in sè non rientra fra i miei preferiti. Mi riservo di vederlo tutta sola, nella mia prossima vita, senza bancarelle e schiamazzi! Il Bayon invece è mozzafiato e me lo porto nel cuore. Il caldo rende sicuramente più stancante la visita, fra un tempio e l’altro potete riposarvi, fare scorta d’acqua e andare nei bagni (puliti) che trovate lungo la via, ogni driver sa dove sono ubicati. Alcuni templi richiedono uno sforzo maggiore per via delle ripide scalinate, ho visto persone di mezza età che hanno rinunciato a salire, addirittura la scalinata di un tempio era interdetta alle donne incinte e ai bambini al di sotto dei dodici anni.
Consiglio caldamente una scarpa chiusa e comoda, anche se non necessariamente da trekking che vi tenga ferma la caviglia. Ricordate che anche l’abbigliamento è importante, potrebbero fermarvi o meno, nel dubbio: pantaloncini al ginocchio e maniche corte, non canotte succinte e look da Ocean Drive a Miami Beach. Arrivare in cima ai templi con il fiato corto e il sudore che ti rende tutto fuorché attraente, è una sensazione sempre impagabile. Prendere fiato e guardarsi intorno, circondata da pura bellezza, ripaga di qualsiasi fatica.
Sono ripartita da Siem Reap il mattino del quarto giorno, un volo mi ha riportato nella mia Bangkok.
Per questa ultima notte prima di tornare a casa ho dormito in un ostello, molto carino e pulito, camera condivisa femminile e bagno in comune. L’ostello è il Restdot Hostel, nella zona di Bang Rak. L’ho scelto volutamente perché in zona Lumphini Park, è in questo parco che ho trascorso il mio ultimo giorno di viaggio. Come sempre era necessario un momento finale di raccoglimento per metabolizzare, pensare e prepararmi al ritorno dopo diciassette intensissimi giorni con me stessa.
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grande, bel viaggio!
fantastico! sono anche io di Torino e vorrei anche io fare un viaggio in solitaria…il tuo è stato bello viverlo attraverso il tuo racconto.
Grazie
Grazie Paolo e, se puoi, regalati un viaggio in solitaria :-)
Ottina descrizione, grazie. Domanda pratica: meglio portarsi banconota da un dollaro per i piccoli “traffici” (qui cita tuk tuk, massaggi ai piedi, ecc) o vale solo la valuta locale? Pagare con Carta di Credito è facile o difficoltoso? Grazie