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Questo articolo è stato aggiornato il Febbraio 20, 2014
Praga, il Ponte Carlo: storia trita e ritrita. Che noia!, direbbe qualcuno. Tutti, quasi certamente, sarete stati almeno una volta nella vita in questa bellissima città e avete passeggiato sul suo ponte più famoso. Perché, dunque, dovreste proseguire nella lettura di questo articolo? Seguitemi e lo scoprirete. Alla fine vi verrà voglia di tornarci per riappropriarvi di tutto quanto vi siete persi. Scommettiamo? Praga è una meta molto gettonata, accontenta vacanzieri di tutte le età: i giovani si rivolgono a lei per la vivace vita notturna, le persone mature per scoprirne i tesori.
Ponte Carlo, come ben saprete, è uno dei cuori pulsanti della città. Di giorno, artisti di strada, musicisti, bancarelle di artigianato locale e di souvenir ne ricoprono ogni centimetro quadrato. E’ talmente popoloso, di locali e di turisti, che quasi non si fa caso a quanto esso sia architettonicamente imponente. Sì, le statue che ne fanno da corrimano bene o male le intravedono tutti, ma chi di voi ne conosce la storia? E le leggende? Sapete che Praga fa parte del Triangolo magico d’Europa, insieme a Torino e Lione? Ebbene, queste tre città sono legate dal comune filo di leggende, grotte alchemiche e riti esoterici della magia bianca, quella buona, che si contrappone a quella nera del triangolo Torino-Londra- San Francisco.
Torniamo a Praga e al Ponte Carlo. Sapete sicuramente che deve il suo nome al re che ne ordinò la costruzione, Carlo IV, che è lungo 500 metri, è sorretto da sedici piloni e che la sua costruzione è stata iniziata nel 1300 per finire solo nel 1700. Saprete anche che le statue sono state ivi collocate in maniera dilazionata nel corso dei secoli.
Pochi però conoscono San Giovanni Nepomuceno e il suo legame con il ponte. A lui è dedicata una statua che, a dirla tutta, sculturalmente non è molto impressionante, ma per i praghesi è così importante da farne oggetto di pellegrinaggi. Si dice che re Venceslao IV avesse intimato a San Giovanni, che allora era il prete di corte, di rivelargli il contenuto delle confessioni della regina. Il prete oppose rifiuto e il re gli fece tagliare la lingua, lo fece uccidere e fece buttare i suoi resti, chiusi in un sacco, nella Moldava. Leggenda vuole che al momento dell’impatto, sull’acqua avessero brillato cinque stelle che oggi sono il simbolo del Santo. Si narra che la sua lingua sia stata trovata molto tempo dopo, ancora guizzante di sangue. La statua di San Giovanni Nepomuceno si trova nel punto esatto in cui il santo fu gettato nel fiume. In questo punto, si trova una croce con delle stelle e pare che toccarle contemporaneamente porti bene. Mettetevi in fila dunque e accarezzate la fortuna!
La morte di San Giovanni lasciò pesanti strascichi. Quando Carlo IV ordinò la costruzione del ponte, onde evitare che crollasse, ordinò a tutti gli abitanti dei villaggi contigui di inviare ingenti quantità di uova il cui albume, impastato con la malta, sarebbe servito a tenere meglio in piedi i pilastri e le volte. A questo proposito, si narra che, per un eccesso di prudenza, gli abitanti del villaggio di Velvary avessero mandato delle uova sode, in modo che non si rompessero durante il viaggio. Inutile dire che ancora oggi sono oggetto di scherno a causa della passata ingenuità. Ma, nonostante la malta e le uova, per molto tempo, il ponte fu come maledetto: ogni cosa che si costruiva di giorno, crollava di notte. Cosicché, l’architetto responsabile dei lavori, disperato, decise di fare un patto col diavolo, il quale che avrebbe potuto prendersi l’anima della prima persona che avesse attraversato il ponte, in cambio di un aiuto per la sua costruzione. Credendosi furbo, l’architetto, a costruzione ultimata, decise di beffare il diavolo liberando sul ponte un gallo. Stratagemma inutile visto che, il diavolo, scoperto il piano si indispettì e andò dalla moglie del costruttore avvisandola che il marito si era sentito male e che doveva immediatamente recarsi sul ponte. La donna, ignara di ogni cosa, corse in soccorso del marito, attraversò il ponte e il diavolo la fece sua.
E i Vodink? Ne vogliamo parlare? Folletti che popolano le acque della Moldava, ciascuno in un settore diverso, sono benigni e maligni al tempo stesso. Vestiti di verde e con cappello rosso, hanno il compito di trascinare sul fondo del fiume le anime di chi vi annega per conservarle nelle loro grosse pentole. Se si arrabbiano, però, possono diventare molto crudeli. Pare che un Vodnik, per vendicarsi di un carretto che aveva intorpidito le acque della sua vecchia dimora, costringendolo a trasferirsi altrove, avesse teso al povero sventurato una vera e propria trappola: attese che il carretto si fermasse, all’altezza di Ponte Carlo, affinché i cavalli si abbeverassero, lo afferrò e lo gettò nel fiume imprigionandone per sempre l’anima nella sua pentola.
Un altro folletto, invece, capitato in una zona in cui quasi mai nessuno annegava, annoiato dall’inezia, si diede alla lettura e addirittura si costruì una immensa biblioteca subacquea.
Ma di notte? Cosa succede sul ponte? Come appare? Nelle tarde ore che non sono né ieri né domani, in quell’oscurità cupa e densa, quando gli ambulanti sono tornati da un pezzo nelle proprie case e i turisti dormono beati nei rispettivi hotel, voi, uomini temerari e bramosi di verità, armatevi di coraggio e tornate, ancora una volta lì, sul ponte. Ebbene, vi sembrerà di essere altrove. E’ come se le statue cambiassero posizione, addirittura, come se si mettessero comode. Sarà la suggestione o sarà l’illuminazione, sta di fatto che lo spettacolo è impressionante. E se sulla vicina isola di Kampa sarà nato un bambino, le statue si animeranno come a fargli festa, come per una promessa di protezione.
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